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Presidenza della Commissione europea: articolo di David Cameron

Il Primo Ministro ha pubblicato un articolo sul dibattito sulla presidenza della Commissione europea.

Questo è stato pubblicato sotto 2010 to 2015 Conservative and Liberal Democrat coalition government

Per molti cittadini europei l’interrogativo più interessante del momento è chi vincerà i mondiali di calcio. Immagino che non siano altrettanto numerosi coloro che stanno seguendo il dibattito su chi sarà il prossimo Presidente della Commissione europea. È un tema importante, però, perché tocca proprio il cuore del processo decisionale dell’Unione europea, riguarda la necessità di rispettarne le regole, e il giusto rapporto tra le nazioni europee e le istituzioni dell’Unione.

Alle elezioni europee dello scorso mese, gli elettori hanno detto chiaramente che sono scontenti del modo in cui l’Europa attualmente funziona. Chiedono un cambiamento, che si concentri su ciò a cui tengono di più: la crescita e l’occupazione. E vogliono che l’UE li aiuti, non che dica loro cosa fare. Dei chiari segnali c’erano già stati: l’ascesa dei partiti euroscettici, il calo di affluenza alle urne in molti Paesi e la perdita di consenso per i principali gruppi politici del Parlamento europeo.

L’interrogativo che noi leader europei ora dobbiamo porci è come rispondere a questo messaggio.

L’esito delle elezioni dovrebbe essere una sveglia per i leader di tutta Europa. Il futuro dell’Unione è in bilico: o si cambia, o ci si rassegna a un ulteriore declino.

La posizione britannica è chiara: vogliamo una UE che riesca ad adempiere ai suoi compiti, quelli di portare alta la bandiera della libertà, della pace e della democrazia in tutto il continente, e di dare impulso alla prosperità. Questo, secondo noi, è il ruolo principale dell’Unione europea di oggi. E perché questo sia possibile, abbiamo bisogno di un’UE più aperta, rivolta all’esterno, flessibile e competitiva, e di una leadership forte, fatta di persone che siano pronte a dare ascolto alle preoccupazioni degli elettori e a confrontarsi con le sfide che l’Europa deve affrontare.

Il primo scoglio è la scelta del nuovo Presidente della Commissione europea.

In base ai trattati dell’UE, ratificati dai parlamenti nazionali, spetta ai capi di governo dei Paesi membri proporre il candidato alla guida della Commissione, anche se i leader dovrebbero “tenere conto” dell’esito delle elezioni europee. Sono poi i parlamentari europei a votare, a scrutinio segreto, il nome del candidato proposto. È questa la procedura chiara, sancita dal Trattato di Lisbona e partorita al termine di tormentate trattative sull’equilibrio tra i Paesi membri e il Parlamento europeo.

Ma alcuni parlamentari europei hanno elaborato una nuova procedura, per cui vorrebbero essere loro sia a scegliere il candidato che ad eleggerlo. I principali gruppi politici europei hanno presentato alle elezioni ciascuno un “candidato di spicco”– i cosiddetti Spitzenkandidaten – e hanno stretto un accordo dietro le quinte per coalizzarsi dopo le elezioni a sostegno del candidato del partito che avrebbe ottenuto più seggi. È un sistema cui il Consiglio europeo non ha mai dato il proprio assenso, che non è mai stato oggetto di trattativa tra istituzioni europee e che non è mai stato ratificato dai parlamenti dei Paesi membri.

Tuttavia, i sostenitori degli Spitzenkandidaten affermano che ci sono state le elezioni, che i popoli d’Europa hanno scelto Jean-Claude Juncker come Presidente della Commissione e che sarebbe antidemocratico che i leader eletti dei Paesi membri scegliessero qualcun altro.

Sostenere che questo non ha senso non vuol dire attaccare Juncker, un politico europeo di provata esperienza. La maggior parte dei cittadini europei non ha votato alle elezioni del Parlamento europeo, con un’affluenza in calo in gran parte dei Paesi membri. Il nome di Juncker non compariva sulle schede elettorali, e persino in Germania, il Paese in cui il concetto di Spitzenkandidaten ha avuto la maggior visibilità mediatica, solo il 15% degli elettori era al corrente della sua candidatura. In alcuni Paesi membri Juncker non ha neppure messo piede. Chi ha votato lo ha fatto per scegliere il proprio parlamentare europeo, non il Presidente della Commissione e Juncker non si è candidato in nessun Paese e non è stato eletto da nessuno.

Accettare questa procedura sarebbe estremamente dannoso per l’Europa e minerebbe alla base la legittimità democratica dell’UE, invece di rafforzarla.

Questa procedura vedrebbe un trasferimento di potere dai governi nazionali al Parlamento europeo senza il consenso degli elettori, e impedirebbe, di fatto, a un Primo Ministro o a un Presidente in carica di guidare la Commissione europea, limitando artificiosamente la rosa dei candidati, proprio nel momento in cui l’UE ha bisogno trovare il miglior candidato possibile.

Questo sistema finirebbe per politicizzare la Commissione europea, un rischio da cui ci aveva messo in guardia Giscard d’Estaing quando, più di dieci anni fa, fu respinta la proposta di far scegliere ai parlamentari europei il Presidente della Commissione. Giscard d’Estaing sottolineava che in tal modo sarebbe stato difficile per la Commissione “incarnare l’imparzialità ed il bene comune dell’Unione”. Seguire questo metodo comprometterebbe la credibilità della Commissione nell’esercizio dei suoi poteri normativi e di risoluzione delle controversie e, soprattutto, darebbe il via libera a tutti coloro che vogliono violare, passando per la porta di servizio, le regole dell’UE, che sono state ratificate dai nostri parlamenti nazionali e codificate dal diritto internazionale. Che si voglia o meno più democrazia diretta in Europa, credo che siamo tutti d’accordo sul fatto che prima di tutto occorre rispettare i principi fondamentali del diritto dell’Unione.

Molti nutrono forti perplessità su questo approccio nel suo insieme, un’usurpazione di potere frutto di accordi di corridoio. Non possiamo darci per vinti, poiché sappiamo che ciò rischia di costituire un pericoloso precedente.

Dobbiamo scegliere il miglior candidato possibile alla presidenza della Commissione: un candidato in grado di realizzare riforme, dare impulso alla crescita, creare occupazione e riconoscere che la miglior risposta alle esigenze dell’Europa può a volte venire da interventi su scala nazionale; un mediatore onesto e affidabile, in grado di riconquistare la fiducia degli elettori europei.

Il Regno Unito è noto perché si batte per la democrazia e per il proprio interesse nazionale. Ma in questo caso si tratta di lottare per l’interesse dell’Europa, e su questo i tre principali partiti politici britannici sono uniti.

Per i leader dei Paesi europei è il momento di dimostrare il coraggio delle proprie idee, di battersi per difendere il proprio posto nell’UE e per ciò che è giusto per il futuro dell’Europa. È il momento di proporre un candidato che convinca gli elettori europei che stiamo offrendo una risposta ai loro problemi..

Alcuni avvenimenti recenti ci ricordano il prezzo che i Paesi europei hanno pagato nella lotta per la libertà e la democrazia. Abbiamo fatto molta strada negli ultimi decenni, rispettando le differenze, seguendo le regole, e pazientemente tracciando la strada da seguire insieme, nello spirito europeo. E in questo momento così importante per l’Europa, è su questa strada che dobbiamo continuare.

Pubblicato 13 June 2014